Pastry-chef

Carmine Di Donna, il matematico dei fornelli

Il pastry-chef di Torre del Greco, alla guida della cucina de La Torre del Saracino di Vico Equense, due stelle Michelin, ci racconta la sua filosofia nella creazione dolciaria. «Sono le geometrie e i colori a vestire i dessert, dando al piatto un’anima». Il pasticciere non è solo un artista, o meglio lo è in parte. Nelle sue opere si fondono tecnica e creatività: le forme ricordano le sculture, i colori, i quadri di grandi maestri che hanno fatto la storia. Ma è anche un matematico, una figura in grado di dare vita ad un connubio tra la bellezza di ciò che ci circonda e la potenza dei numeri.

Il pastry-chef di Torre del Greco, alla guida della cucina de La Torre del Saracino di Vico Equense, due stelle Michelin, ci racconta la sua filosofia nella creazione dolciaria. “Sono le geometrie e i colori a vestire i dessert, dando al piatto un’anima“.

 

Il pasticciere non è solo un artista, o meglio lo è in parte. Nelle sue opere si fondono tecnica e creatività: le forme ricordano le sculture, i colori, i quadri di grandi maestri che hanno fatto la storia. Ma è anche un matematico, una figura in grado di dare vita ad un connubio tra la bellezza di ciò che ci circonda e la potenza dei numeri.

 

La pensa così Carmine Di Donna, il pastry-chef di Torre del Greco, che dal 2015 porta una ventata di innovazione nella cucina de La Torre del Saracino, il ristorante di Vico Equense, due stelle Michelin di Gennaro Esposito. Classe 1979, l’amore per i dolci lo possiede nel DNA: da piccolo la madre metteva la sua culla vicino alla macchina della crema nella pasticceria di famiglia.

 

Un destino segnato che lo conduce a 17 anni a Manchester e poi per mare sulle navi da crociera in giro per le acque del Mediterraneo alla ricerca della propria identità. Con il tempo la sua arte si perfeziona attraverso corsi di formazione e di aggiornamento che segnano il suo percorso e determinano la sua filosofia: “Per innovare bisogna partire dalla tradizione, il segreto è nelle nostre origini”.

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Come nasce la sua passione?

Mio padre Giuseppe era un pasticciere e mia mamma Maria lavorava con lui. Se c’è un’immagine del mio passato che ricollego all’attività di famiglia è quella del Natale perché era un periodo frenetico di grande attività del laboratorio.

 

La sua è stata una scelta quasi obbligata…

No, a dire il vero volevo diventare un carabiniere o un finanziere.

 

Cosa le ha fatto cambiare idea?

Quando ho visto per la prima volta glassare una torta, quel semplice e magico gesto mi ha fatto scattare una molla. Da quel momento non mi sono più fermato. Mi sono iscritto all’Istituto Alberghiero e poi ho iniziato a lavorare sulle navi da crociera, ma il mare è fatto per i pesci, non per me. Così sono ritornato sulla terraferma.

 

Se dovesse paragonare le creazioni di un pastry-chef ad una scienza o ad un’arte quale sceglierebbe? 

Io penso che in pasticceria, e per tutti i pastry-chef, la precisione sia importante così come l’estetica. Se la ricetta prevede che ci vogliano 100 gr di zucchero, non ti puoi avventurare mettendone 120, altrimenti cambia tutto. E poi le geometrie e i colori vestono i dessert dando al piatto un’anima. In carta abbiamo una creazione dalle sfumature autunnali, cake di castagne, cremoso alla nocciola e sorbetto ai caki, qui si crea la sintonia tra gusto e vista.

 

 

A cosa si ispira?

Io credo che per fare bene questo mestiere ci vogliano curiosità e dedizione. Se non ci sono questi due elementi non si fa un passo in avanti. Ogni mattina osservo gli ingredienti che arrivano nel ristorante, studio come in cucina vengono trasformati da semplici materie prime in sofisticate portate. In questi momenti si avvia il processo creativo, che nel mio caso deve essere allineato al menu di Gennaro Esposito. Un esempio? Lo chef ama la mela annurca e così ho preparato un dessert a base di questa bontà del nostro territorio che viene caramellata, accompagnata da un gelato di patate e foie gras ed impreziosita dai frutti rossi.

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Al centro della sua filosofia di pastry-chef c’è il legame con il passato… 

Parte tutto dalle origini, un patrimonio immenso che abbiamo e che a volte anche inconsapevolmente influisce sul nostro lavoro. Se però leggo in un menu ad esempio tiramisù alla fragola non concordo.

 

In che senso?

Il tiramisù è preparato con mascarpone e caffè. Con la fragola perde la sua anima originaria, porta un’altra veste e di conseguenza diventa un altro dolce. Chiamiamo i piatti con il nome che hanno, senza prendere in prestito quelli della tradizione quando scegliamo di stravolgerla.

 

In televisione si dà sempre più importanza alla cucina, cosa ne pensa?

Mi piacciono i programmi ed i talent sul mondo del food, alcuni di più altri meno. Ho partecipato a tre puntate di Dolcemente con di Maurizio Santin ed è stato molto interessante, soprattutto per gli spettatori. Preparare una ricetta, seguirne i passaggi e poi assaporarla può essere divertente e formativo per il pubblico. Non condivido il pensiero di chi dice: “Sei un pasticciere o uno chef allora o lavori nel ristorante o in televisione”. Si possono fare entrambe le cose.

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Quale è la creazione di cui va più fiero?

Un dolce a strati che si ispira alla pastiera napoletana e che ho dedicato alla memoria di papà, il mio maestro. Al suo interno una mousse di ricotta, una crema di grano ed una di arancia, all’esterno una glassatura al cioccolato bianco. Sono molto legato alla mia famiglia ed al mio lavoro. Mia figlia ha nove anni ed ha una passione per la pasticceria, si vede che le piace. Magari un giorno seguirà le orme di suo nonno e di suo padre, lo spero.

 

Di Francesca Saccenti

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