vaccini e astrazeneca

Varianti, vaccini, caos Astrazeneca. L’intervista all’infettivologo Nicola Maturo.

Proprio quando sembrava che i vaccini potessero restituire un po’ di fiducia, ecco farsi sotto lo spettro delle cosiddette “varianti”, che gettano un’ombra inattesa sulle speranze di una normalizzazione che sembrava a portata di mano. E lo stop deciso in via precauzionale dall’Aifa per la somministrazione del vaccino Astrazeneca ha fatto poi il resto. Per comprendere meglio questo delicato passaggio Agorà Magazine ha intervistato il dottor Nicola Maturo, direttore del reparto di Malattie Infettive ed Urgenze Infettivologiche dell’Ospedale Cotugno di Napoli.

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Tra varianti del virus, vaccini e caos AstraZeneca, il responsabile del pronto soccorso dell’ospedale Cotugno ci aiuta a comprendere questa fase delicata, fra ansie di ripresa e nuovi ostacoli da superare.

 

Proprio quando sembrava che i vaccini potessero restituire un po’ di fiducia, ecco farsi sotto lo spettro delle cosiddette “varianti”, che gettano un’ombra inattesa sulle speranze di una normalizzazione che sembrava a portata di mano. E lo stop deciso in via precauzionale dall’Aifa per la somministrazione del vaccino AstraZeneca ha fatto poi il resto.

 

Per comprendere meglio questo delicato passaggio Agorà Magazine ha intervistato il dottor Nicola Maturo, che in qualità di direttore del reparto di Malattie Infettive ed Urgenze Infettivologiche dell’Ospedale Cotugno di Napoli si è trovato sin da subito in primissima linea contro l’emergenza coronavirus, seguendone da vicino tutte le fasi. 

Dottore, lei dirige il pronto soccorso infettivologico del Cotugno, ospedale indicato quale una delle eccellenze mondiali per il modo in cui ha affrontato la primissima ondata di ricoveri. Come è cambiata la situazione nel tempo?

«In realtà, da un certo punto di vista non è cambiato molto da un anno ad oggi. All’inizio i pazienti si presentavano con quadri clinici nuovi, a volte disastrosi, rispetto ai quali abbiamo dovuto trovare le contromisure. E ciò spiega i decessi, che in quella fase sono stati molti e in poco tempo. Anche oggi i contagiati arrivano in pronto soccorso con gravi stress respiratori, ma noi in compenso gestiamo meglio questa pressione costante. I veri cambiamenti invece riguardano il numero complessivo degli infetti e dei ricoveri, che purtroppo dalla prima alla seconda ondata è aumentato notevolmente. Durante il primo lockdown, così prolungato, il virus ad un certo punto circolava molto poco. Mentre in seguito, la successione insensata di chiusure e riaperture, ha dilatato i tempi ed ha impedito di controllare adeguatamente i contagi, tanto che adesso parliamo di terza ondata. Al Cotugno i posti in terapia subintensiva, ovvero quelli più necessari, attualmente sono già esauriti, benché si sia fatto il massimo per aumentarli. Ma anche altrove, come ad esempio accade al Cardarelli o al Loreto Mare, sono difficili da reperire».

A tal proposito, in queste ultime settimane si è aggiunta la preoccupazione legata alle cosiddette varianti del virus: inglese, brasiliana e sudafricana. Spesso si confonde la pericolosità di questi virus mutati con la loro contagiosità. Può aiutarci a comprendere meglio il fenomeno?

«Le mutazioni che determinano la comparsa di una variante riguardano il gene responsabile della proteina ‘spike’ (chiodo, ndr), che permette al virus di entrare nelle nostre cellule più o meno velocemente. Se la proteina diventa più efficiente e il virus quindi è in grado di attaccarci più in fretta, ecco quindi che aumenta la contagiosità della malattia, ovvero la sua trasmissibilità. La variante inglese in questo senso è per ora la più aggressiva e infatti ha praticamente soppiantato le altre, visto che la brasiliana è presente in misura limitata e la sudafricana è praticamente assente in Italia. Questi virus mutati però, è bene chiarirlo, non producono danni maggiori all’organismo di chi si ammala, e non accrescono le probabilità di aggravarsi. Quindi se la mortalità cresce, ciò dipende solo dal fatto che le varianti fanno aumentare il numero totale di contagiati».

L’insorgenza delle varianti ha spinto il ministero della Salute ad integrare con una circolare le precedenti indicazioni sull’uso dei test antigenici (come il tampone rapido e il test salivare, ndr), specificandone meglio il corretto spettro di utilizzo. Qualcuno ha interpretato questo intervento come una prova dell’inefficacia di tali test, che sono molto diffusi perché danno i risultati in pochi minuti. Come stanno veramente le cose?

«Questi test hanno in generale una attendibilità relativa. Spesso in ospedale abbiamo riscontrato che persone positive al test antigenico sono poi risultate negative a quello molecolare. E teniamo anche presente che i numeri forniti quotidianamente dalla Protezione Civile comprendono i risultati di questi stessi test, ai quali però noi attribuiamo un grado di affidabilità del 50% in caso di negatività, e del 90-95% per i positivi. Quindi la metà dei negativi potrebbe non esserlo affatto. Sono infatti dei test economici usa e getta, quindi i dati relativi vanno presi con le pinze».    

Veniamo al caso vaccini AstraZeneca. In Italia, Spagna, Francia e Germania è stata sospesa in via precauzionale e temporanea la somministrazione dei vaccini a causa della comunicazione di alcuni “gravi eventi avversi”. Era una decisione necessaria?

«Era una forma di cautela che andava presa, in attesa di ulteriori indagini. Anche se queste reazioni sporadiche, su grandi numeri, sono da mettere in conto ogni volta che si somministra un nuovo vaccino, e possono dipendere da tanti fattori diversi, anche legati al trasporto o alla conservazione del lotto specifico. Giusto comunque sospendere fino a prova contraria».

In futuro è prevedibile che ulteriori varianti si presentino rendendo necessari dei richiami e successive campagne vaccinali contro il coronavirus. Lei quale scenario si immagina?

«Partiamo da un presupposto. Noi in questo momento siamo come delle cavie da laboratorio. Io stesso mi sono vaccinato tra i primi in Italia il 27 dicembre e ho poi ricevuto la seconda dose il 17 gennaio. Ma a partire da quel momento non so quanto durerà la mia pseudo-immunità. Potrebbe essere, ma ad oggi non lo sappiamo ancora, che i vaccini contro il virus si comportino come quello antinfluenzale, assicurando una copertura stagionale di quattro mesi, da rinnovare anno per anno in base alle variazioni. Potrebbe invece accadere che la memoria anticorpale garantisca una copertura più a lungo termine. Ma questo lo scopriremo un po’ alla volta». 

 

Di Giovanni Aiello

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