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Narcisismo, chi la vittima e chi il carnefice?

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Frequentemente, nel linguaggio comune, concetti che provengono dall’ambito psicologico si intersecano con le parole di uso quotidiano creando così un ambito semantico che sta a metà tra la possibilità di una riflessione sul fenomeno che si vuol designare e il tentativo, spesso maldestro, di denigrarlo. Si tratta della tendenza diffusa ad attribuire etichette diagnostiche, tra le quali quella di narcisista sembra essere quella più in voga, a chiunque non soddisfi le nostre aspettative, evocando la psicopatologia nei termini di un suo presunto potere punitivo. Ma cos’è davvero il narcisismo?

Il narcisismo esiste

Sia ben chiaro, il narcisismo esiste. Narciso, lo sanno tutti, era un giovane bellissimo circondato dall’ammirazione di quanti lo incontravano, ma alle offerte d’amore, che pure lo gratificavano, restava indifferente. Un giorno, di Narciso si innamorò la ninfa Eco che, non ricambiata e respinta, si consumò di dolore fino a morirne. Di lei rimase solo il ritorno della sua voce, l’eco appunto. 

Il mito di Narciso ci consente di comprendere come, a diversi livelli, le persone con una struttura narcisistica manifestino difficoltà relazionali significative, impegnate, come sono, in un costante bisogno di apparire attraenti e a proiettare sugli altri inconfessabili sentimenti di disprezzo e disistima che, in fondo, provano per se stessi. Così accade che le persone che entrano in relazione con loro si sentano continuamente svalutate, anche senza che necessariamente si mettano in scena modalità palesemente ostili.

 

Tuttavia, continuare a domandarsi perché l’altro non sia capace di amore o perché assuma comportamenti svalutanti nel rapporto di coppia, non serve a proteggerci dal rischio di restare intrappolati in quella relazione o di intraprendere un nuovo rapporto con un partner distante e bisognoso di prevaricare.

 

Attribuire la responsabilità al partner o cercare di appioppargli un’etichetta diagnostica sulla base di notizie recuperate su pagine di social network equivale a restare impantanati nelle sabbie mobili di una voragine affettiva, in fondo alla quale si fa fatica a riconoscersi il potere di cambiare le cose.

Il narcisismo nelle relazioni

Nella relazione di coppia, ogni partner ha una parte di responsabilità di quello che avviene in un rapporto. Sempre. Se esiste una persona con tendenze alla manipolazione nella relazione, il partner manipolato deve avere altrettante motivazioni per andarsi a cercare un persecutore. Se si sceglie di rimanere in una relazione continuamente svalutante, probabilmente, si sta mantenendo un antico equilibrio disfunzionale di cui il partner di turno ne è lo strumento. In altre parole, la relazione altro non è, per entrambi, che un tentativo disfunzionale di autocura.

 

«Poco importa [allora] sapere dove l’altro sbaglia», come ha detto Jung, «perché lì non possiamo fare niente. Interessante è sapere dove sbagliamo noi stessi. Perché li si può fare qualcosa…»

Ribaltare il punto di vista per ritornare a sé

Per questo, provare a ribaltare il punto di vista dal “perché lui/lei agisce così?” al “come mai gli/le consento di trattarmi in questo modo?”, ci consente una prima e fondamentale inversione di prospettiva necessaria per ritornare a sé e ai propri bisogni. 

 

Solo assumendosi la piena responsabilità di sé e di quello spazio di vuoto che per troppo tempo si è fatto finta di non vedere cercando riparo nel frastuono di rapporti insoddisfacenti, solo penetrando in quel silenzio intriso della percezione di non essere abbastanza, della illusoria e onnipotente convinzione che, prima o poi, grazie al nostro amore e alla nostra premura, riusciremo a cambiare l’altro, che sarà possibile rinnovare i quadri dentro e fuori di noi. 

 

Amore, non è solo conoscenza dell’altro, ma innanzitutto esperienza di sé, delle regioni, mai veramente frequentate, dove veniamo a trovarci quando ci innamoriamo. È in quelle regioni l’unico cambiamento: ovvero la possibilità che, attraverso l’altro, ci è data di cambiare noi stessi. Per esempio, facendo quanto è possibile per ritrovare in noi stessi il senso del nostro vivere, senza delegarlo al valore che l’altro è disposto a riconoscerci. 

 

Il modo in cui ci amiamo resta sempre la migliore approssimazione del modo con cui insegniamo agli altri ad amarci.

 

Di Paola Dei Medici

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