Il virus passerà, ma che non passi la sua dolorosa lezione

C’è un virus di cui tutti parlano: il Covid-19 e il suo muoversi facilmente nel mondo. E poi ci sono le sue conseguenze, l’allarme, le cautele, persino le isterie. Eppure, come scriveva Lingiardi qualche giorno fa: "Le forme di convivenza da apprendere sono sempre molte, nascono dallo spavento dell'io, crescono nella cura del tu, mettono radici grazie alla responsabilità del noi".

C’è un virus di cui tutti parlano: il Covid-19 e il suo muoversi facilmente nel mondo. E poi ci sono le sue conseguenze, l’allarme, le cautele, persino le isterie. Eppure, come scriveva Lingiardi qualche giorno fa:

 

Le forme di convivenza da apprendere sono sempre molte, nascono dallo spavento dell’io, crescono nella cura del tu, mettono radici grazie alla responsabilità del noi“.

 

E allora si poteva usare in tanti modi questo momento, poteva essere una possibilità per trasformarlo in qualcosa di buono, una prova di convivenza civile.

Abbiamo perso un’occasione, forse, per ricordarci che siamo umani e in quanto tali siamo fragili.

 

Avremmo potuto accettare tutti insieme che non siamo invulnerabili, e non vale solo per gli anziani e gli immunodepressi, ma anche per il ragazzo 38enne che aveva appena corso due maratone. Sarebbe stato bello per una volta cercare una possibilità reificativa in un momento così drammatico.

Poteva essere un’operazione in grado di parlare al plurale, alle vite degli altri, anche di quelli che stanno sul ciglio tra gli ancora vivi e i non ancora morti. Forse si sarebbe creato un precedente illuminato. Saremmo stati per una volta tutti frangibili, ma insieme.

Avremmo potuto navigare per una volta sulla stessa barca, invece di rimanere ognuno ancorato al suo scoglio. Abbiamo perso l’occasione, forse, di sentirci più vicini gli uni agli altri, anche a distanza di sicurezza, preferendo l’apparente rassicurazione del racconto consolatorio di essere nella percentuale di chi può cavarsela.

 

 

Abbiamo sprecato un’occasione, forse, per dirci fragili, per ribadire il desiderio che abbiamo di farla insieme, la nostra fragilità, riconoscendocela, facendo in modo che piano piano, nei giorni, diventi una cosa che possiamo dire, con parole che per dirla con Saramago «si vanno distribuendo in tutti i giorni del futuro, compresi quelli, infiniti, in cui non saremo più qui per poterlo confermare, per congratularci o chiedere perdono».

 

Il virus passerà, ma che non passi la sua dolorosa lezione. Ciò che non facciamo per amore, ogni tanto lo facciamo per dolore” ci ricorda l’economista Luigino Bruno. E allora che sia per la potenza trasformativa dell’amore, o per quella egualmente rinnovatrice del dolore, non perdiamo questa occasione per ricordare che il senso della vita è nella sua fragilità.

 

Ieri una persona mi ha chiesto: «Dott.ssa ma anche lei ha paura?» In quella domanda si annidava la possibilità di uno confronto prezioso: uno scambio di fragilità come scambio di forza di vivere. In fondo è solo nell’intercapedine tra noi e gli altri che la fragilità si colora di forza, vive e si fa storia.

 

Di Paola Dei Medici

 

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